Per Marx il valore non può che esprimersi in modo fenomenico, tramite i rapporti di scambio mercantili e tramite il denaro, e dunque il valore di scambio, manifestatosi all’inizio dell’analisi della merce, appare più chiaramente come forma fenomenica del valore.
La teoria marxiana del valore si basa sulla distinzione tra valore d’uso e valore di scambio. Il valore d’uso di una merce è la sua capacità di soddisfare un bisogno umano, mentre il valore di scambio è la quantità di lavoro socialmente necessario per produrla.
Secondo Marx, il valore di una merce è determinato dal tempo di lavoro necessario per produrla. Questo valore si manifesta attraverso i prezzi di mercato, che sono influenzati dalle condizioni di offerta e domanda. Marx sostiene che il valore di una merce non coincide con il suo prezzo di mercato, ma che il prezzo di mercato tende a convergere verso il valore di una merce nel lungo periodo.
La teoria marxiana del valore ha importanti implicazioni per l’analisi del capitalismo. Marx sostiene che il valore di una merce è creato dal lavoro umano, ma che i lavoratori non ricevono il valore intero che producono. Questa differenza tra il valore creato dal lavoro e il salario dei lavoratori è chiamata plusvalore e rappresenta il profitto che viene sfruttato dai capitalisti.
Secondo Marx, il sistema capitalista è intrinsecamente ingiusto perché si basa sulla sfruttamento dei lavoratori. Egli sostiene che la lotta di classe tra i lavoratori e i capitalisti è inevitabile e che alla fine il capitalismo sarà sostituito da una società socialista in cui il valore sarà distribuito in modo più equo.
La teoria marxista afferma che la società è divisa in classi sociali in conflitto, con la classe lavoratrice sfruttata dalla classe capitalista. Secondo Marx, la lotta di classe è il motore principale del cambiamento sociale.
La teoria marxista di Karl Marx si basa sull’analisi della società in termini di classi sociali e sulla comprensione dei rapporti di potere che sottendono tali divisioni. Secondo Marx, la società è divisa in due classi principali: la classe lavoratrice, o proletariato, e la classe capitalista, o borghesia.
Il proletariato è la classe dei lavoratori salariati che non possiede i mezzi di produzione, ma vende la propria forza-lavoro per sopravvivere. La borghesia, invece, è la classe dei capitalisti che detiene i mezzi di produzione e trae profitto dall’organizzazione del lavoro dei proletari. Marx sostiene che la borghesia sfrutta il proletariato, appropriandosi del plusvalore generato dal lavoro dei lavoratori e accumulando ricchezza a spese della classe lavoratrice.
La lotta di classe è il motore principale del cambiamento sociale secondo Marx. Egli credeva che la contraddizione tra la classe lavoratrice e la classe capitalista diventasse sempre più intensa e che alla fine portasse a una rivoluzione proletaria. Questa rivoluzione avrebbe rovesciato il sistema capitalista, eliminato la proprietà privata dei mezzi di produzione e istituito una società comunista in cui i mezzi di produzione sarebbero stati di proprietà collettiva e la ricchezza sarebbe stata distribuita in modo equo.
Marx riteneva che solo attraverso la trasformazione radicale delle relazioni di produzione e l’eliminazione delle disuguaglianze economiche si potesse realizzare una società più giusta e solidale. La sua critica al capitalismo si basava sull’idea che il sistema economico capitalista fosse intrinsecamente ingiusto, poiché perpetuava la divisione tra i ricchi e i poveri e creava un sistema di sfruttamento dei lavoratori.
La domanda corretta è: Come si definisce la teoria dei valori?
La teoria dei valori si riferisce all’insieme di concezioni che riguardano l’origine e la determinazione del valore delle merci. In economia, il valore viene considerato una proprietà delle merci che è distinta dal costo e che, secondo questa prospettiva, precede logicamente il prezzo.
Le teorie del valore sono state oggetto di dibattito tra gli economisti nel corso della storia. Una delle prime teorie del valore fu quella del lavoro, che sostenne che il valore di una merce fosse determinato dal tempo di lavoro necessario per produrla. Secondo questa teoria, il valore era quindi misurato in termini di quantità di lavoro incorporato nella merce.
Altre teorie del valore si sono concentrate su fattori come l’utilità o la scarsità. Ad esempio, la teoria dell’utilità marginale sostenne che il valore di una merce dipendeva dalla sua utilità marginale, cioè dall’incremento di utilità che un individuo ottiene dal consumo di una quantità aggiuntiva di quella merce. Allo stesso modo, la teoria della scarsità sostenne che il valore di una merce era determinato dalla sua disponibilità relativa rispetto alla domanda.
È importante sottolineare che le diverse teorie del valore non sono necessariamente in contraddizione tra loro, ma possono fornire prospettive complementari sulla determinazione del valore delle merci. Alcune teorie possono essere più adatte per spiegare il valore di merci particolari o in contesti specifici.
In definitiva, la teoria dei valori in economia è fondamentale per comprendere come vengono determinati i prezzi delle merci e come si sviluppano i processi di scambio nel sistema economico.
Quali erano i fondamenti della teoria di Marx sul capitalismo?
La teoria di Marx sul capitalismo si basava su diversi fondamenti. Innanzitutto, egli sosteneva che il sistema capitalistico fosse intrinsecamente instabile e soggetto a crisi periodiche. Secondo Marx, ciò era dovuto al fatto che la produzione capitalistica è incentrata sull’accumulazione di profitto e sulla ricerca del massimo guadagno. Questo porta a una sovrapproduzione di merci, poiché l’obiettivo principale del capitalista è quello di vendere il proprio prodotto e realizzare un profitto. Tuttavia, in un sistema in cui la maggior parte delle risorse è posseduta da pochi capitalisti, la domanda di merci può essere limitata, poiché la maggior parte delle persone non ha abbastanza reddito per acquistare tutto ciò che viene prodotto.
Marx riconosceva che la produzione capitalistica era in grado di generare una grande ricchezza e di aumentare la produttività, ma sosteneva che questo avrebbe portato inevitabilmente a una crisi. Infatti, secondo Marx, il capitalismo è caratterizzato da una contraddizione fondamentale: da un lato, la produzione capitalistica è orientata verso la massimizzazione del profitto e l’accumulazione di capitale; dall’altro, la domanda effettiva di merci è limitata dalla distribuzione disuguale del reddito. Questa contraddizione si manifesta attraverso la sovrapproduzione e la crisi economica.
Marx sostenne che, a causa di questa contraddizione, il capitalismo sarebbe stato soggetto a crisi ricorrenti. Durante le crisi economiche, le imprese riducono la produzione e licenziano i lavoratori, provocando un aumento della disoccupazione e una diminuzione dei redditi. Ciò a sua volta riduce ulteriormente la domanda di merci, creando un circolo vizioso che può portare a una recessione economica. Marx credeva che solo attraverso la rivoluzione proletaria e l’instaurazione di una società socialista si sarebbe potuto superare questa contraddizione e porre fine alle crisi capitalistiche.
In conclusione, la teoria di Marx sul capitalismo si basava sull’idea che il sistema capitalistico fosse intrinsecamente instabile e soggetto a crisi periodiche. Secondo Marx, ciò era dovuto alla contraddizione tra la produzione capitalistica orientata verso il profitto e l’accumulazione di capitale e la domanda limitata di merci a causa della distribuzione disuguale del reddito. Questa contraddizione si manifesta attraverso la sovrapproduzione e la crisi economica. Secondo Marx, solo attraverso la rivoluzione proletaria e l’instaurazione di una società socialista si sarebbe potuto superare questa contraddizione e porre fine alle crisi capitalistiche.
Domanda: Come si calcola il plusvalore secondo Marx?
Nell’economia marxiana, il plusvalore (in tedesco Mehrwert) è uguale al valore creato durante la giornata lavorativa dai lavoratori che è in eccesso rispetto al valore della loro forza-lavoro. Secondo la teoria del valore di Marx, il valore di un bene è determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario per produrlo. La forza-lavoro, in quanto merce, ha un valore che rappresenta il tempo di lavoro necessario per produrre i beni e i servizi necessari per il suo sostentamento. Tuttavia, i lavoratori non vengono pagati per il valore totale del loro lavoro, ma solo per il valore della loro forza-lavoro. Il plusvalore rappresenta quindi il surplus di valore che i lavoratori creano durante la loro giornata lavorativa e che viene appropriato dal datore di lavoro.
Per calcolare il plusvalore, è necessario considerare la durata della giornata lavorativa e il valore della forza-lavoro. La giornata lavorativa è divisa in due parti: la parte necessaria e la parte di surplus. La parte necessaria rappresenta il tempo di lavoro necessario per produrre il valore della forza-lavoro, mentre la parte di surplus rappresenta il tempo di lavoro in eccesso, durante il quale i lavoratori creano il plusvalore. Il plusvalore viene quindi ottenuto sottraendo il valore della forza-lavoro dal valore totale prodotto durante la giornata lavorativa.
Ad esempio, se il valore della forza-lavoro di un lavoratore è di 50 euro al giorno e la giornata lavorativa è di 8 ore, il valore della forza-lavoro per ogni ora di lavoro è di 6,25 euro (50 euro diviso per 8 ore). Se durante la giornata lavorativa il lavoratore produce beni per un valore totale di 100 euro, il plusvalore sarà di 50 euro (100 euro meno 50 euro di valore della forza-lavoro). Il datore di lavoro si appropria quindi del plusvalore prodotto dai lavoratori, che rappresenta un’accumulazione di ricchezza a spese dei lavoratori stessi.
In conclusione, secondo Marx, il plusvalore rappresenta il surplus di valore creato dai lavoratori durante la loro giornata lavorativa che viene sottratto dal datore di lavoro. Questo concetto è centrale nella critica marxiana al capitalismo, in quanto riflette il rapporto di sfruttamento tra i capitalisti e i lavoratori.